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GianMaria Zapelli elsewhere

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Rimpiangere è un modo di imparare

Rimpiangere è un modo di imparare

E vi è chi afferma convinto: “Mai avere un rimpianto.” Una dichiarazione di muscoli. Farsi assalire da rimpianti gode di una pessima reputazione. Come se fosse un cedimento, una crepa nelle mura, un indebolimento della propria tetragona identità. Non sia mai che mi prenda un rimpianto e debba ammettere, ormai a tempo scaduto, a giochi fatti, di essermi sbagliato, che potevo essere o agire diversamente.

Certo, il rimpianto è dolente, a volte persino doloroso, con quel suo ripercorrere amareggiato le occasioni perdute, che ci restituiscono le nostre fragilità, le nostre manchevolezze, gli errori fatti, le occasioni mancate. Se ce ne lasciamo toccare troviamo ascolto che avemmo potuto avere, pazienza che poteva essere di più, dolcezza che abbiamo ignorato, tolleranza che sarebbe stata giusta o amore che poteva essere più attento. Troviamo parole dette male, reazioni da tenere a freno, attenzioni che meritavano di più, impegno che è mancato. Rimpiangiamo e siamo arrivati tardi.

Ma ci occorre il rimpianto, ci è necessario. Ovviamente non al punto da impossessarsi di noi, sommergendoci di dolore e di malessere. Ci occorre il rimpianto per imparare. Perché esserne privi significa sottrarci a una riflessione su noi stessi, quando invece potrebbe insegnarci dove essere meglio, la prossima volta. Significa non considerare mai i risultati che non abbiano raggiunto un nostro fallimento, estranei a ciò che abbiamo fatto e potevamo fare in modo più corretto. I sogni non realizzati come fatale tirannide della vita.

Senza rimpianti è un cuore che si nasconde i fallimenti, che non li sa elaborare, se non attribuendoli a cause esterne. Non ai priori limiti, alle proprie carenze. Senza rimpianto è chi è troppo debole per avere la forza di dire: “Sì, in quella circostanza avrei potuto essere una persona migliore”. Senza rimpianti è chi è terrorizzato dallo scoprire di non essere chi pensa di essere, sottraendosi alla scoperta di sé. Vive fallimenti e non ne impara per il futuro. 

“Se.. allora..” è il percorso di disvelamento e scoperta che aiuta con il rimpianto. “Se avessi…”, “Se avessi avuto più tenacia…” “Se non avessi reagito in quel modo…” Ecco che la trama del rimpianto trova così una possibilità di apprendimento e futuro: “…allora sarei arrivato a…” “… allora avrei ottenuto…”. Il pensiero del rimpianto non solo si duole, ma riesamina, scopre alternative, immagina possibili. Così grazie al rimpianto non si rimane intrappolati nel passato, in ciò che ci è accaduto, di cui non abbiamo riconsiderato le possibilità che potevamo avere e non abbiamo applicato.

Naturalmente al rimpianto è indispensabile una risorsa: la capacità di autocritica. Al rimpianto, alla sua funzione di elaborazione del possibile, occorre la capacità di riconoscere il fallimento, senza eluderlo, minimizzarlo o rimuoverlo. Ed anche la capacità di interrogarsi sulle proprie responsabilità.

Arthur Miller: “Forse tutto ciò che uno può fare è sperare di arrivare alla fine con i giusti rimpianti.”

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