Il sentimento di colpa funziona, per quanto possa essere faticoso e doloroso. Funziona per riscattarsi, per riparare e consolarsi delle proprie carenze.
Quando si è di fronte a un fallimento o un errore, a un evento da cui non ci si può dissociare, ma che impone l’evidenza di un proprio sbaglio, di una carenza o un’incapacità di cui si è stati autori, in queste circostanze il cuore, con la sua protettiva assistenza inconscia, cerca di correre ai ripari, cercando di contenere e ridurre il dolore che affligge per la propria insufficienza. Così, quando è ineludibile dover ammettere la propria mancanza, salva il senso di colpa, un sentimento riparatore e farmaceutico.
Sentirsi colpevoli, sebbene disagevole, consente un benefico risanamento. Nel ripiegamento dolente del sentimento di colpa si ottengono ben due provvidenziali vantaggi psicologici.
Il primo. Sentendosi colpevoli ci si sente protagonisti di ciò che ci è accaduto. Si alimenta il vissuto di sentirsi autori di ciò che si vive, anche se può essere doloroso. “Ho sbagliato io”, “E’ dipeso da me”. Il senso di colpa consente una rassicurazione onnipotente di controllo sulla realtà. Nel momento in cui ammettiamo il fallimento rivendichiamo emotivamente la nostra centralità. Non lasciamo che il fallimento sia un evento che abbiamo subito, impotenti di fronte alla vita. Si può trovare un’analogia con il figlio piccolo di coppie che si separano. Quasi sempre il figlio si sente in colpa, e quindi causa, della separazione dei propri genitori. Non si tratta di una strategia di automortificazione, al contrario di sopravvivenza. Nel sentirsi in colpa, per quanto possa essere doloroso, il figlio conserva una risorsa fondamentale di sopravvivenza: sente di avere il controllo della propria vita; il dramma che sta vivendo non è estraneo alla sua possibilità di determinare la propria vita, può conservare il sentimento di averne un controllo. Il sentimento di colpa riconduce l’ignoto, l’imprevisto e l’inatteso a ciò che si è fatto, a se stessi; proteggendo il bisogno di sentire di avere un effetto e un dominio sulla realtà.
Il secondo beneficio. Il tempo che si dedica alla propria commiserazione è egocentrato, è un ripiegamento su di sé, sui propri sentimenti e sulle proprie emozioni. E’ un tempo che si alimenta di “io”. “Io mi sento in colpa” è l’affermazione psicologica che dedica al proprio cuore cura e attenzione. Nel momento in cui siamo causa di un danno a qualcuno per le nostre carenze, ci ripieghiamo su noi stessi mortificati, con un’accusa che ci consente di nobilitarci e riscattarci. Perché quando dedichiamo tempo ed emozioni a noi stessi, qualunque esse siano, stiamo sempre ponendo noi stessi al centro delle nostre attenzioni. E se poi questo sentimento autocentrato è la colpa, ancorché doloroso, ci consente di sentirci persone meritevoli, proprio perché ne soffriamo, perché sappiamo dispiacerci dei nostri errori. Non ci rimane che l’assoluzione.
Così non è innocente il sentimento di colpa, perché, con un’astuzia inconscia, consente di elaborare la convivenza con i nostri errori e le nostre carenze, senza cambiare e mutare i nostri modi di essere. Infatti è ben diverso il sentimento di responsabilità, che in occasione di una carenza e o di un errore produce un’azione e la ferrea volontà di cambiare per non ripeterlo. Più facile una lacrima di autocommiserazione colpevolizzante, ma consolante.