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GianMaria Zapelli elsewhere

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Verità e certezza non sono lo stesso

Verità e certezza non sono lo stesso

Dove vi è una verità vi è un punto fermo, immobile. La verità non ha bisogno di andare oltre, di muoversi da se stessa. Si potrebbe infatti definire verità ogni affermazione su cui non esiste alcuna possibilità che non possa essere che così. La verità esclude e nega tutto ciò che è estraneo a ciò che descrive e riconosce.  E’ vero significa non può essere diversamente.
Ancorché non siano affatto sinonimi, è facile osservare il sodalizio tra verità e certezza. Ma la certezza riguarda le convinzioni che abbiamo sulla realtà, mentre la verità i fatti che definiscono quale sia la realtà. Essere certi che nostro figlio sia molto intelligente o che meritiamo una promozione non è la stessa cosa che avere tutte le evidenze e le conoscenze che ci provano che sia effettivamente così, senza alcun dubbio.

La mente è vorace di certezze, idee, abitudini, scelte di cui sentirsi rassicurata, sulle quale non avere dubbi. La migliore rassicurazione psicologica, la patente per la certezza è credere di possedere una verità; che le proprie idee, le proprie convinzioni corrispondano pienamente alla realtà. Un bisogno di certezza consacrata dalla verità che agisce massicciamente in modo inconsapevole e automatizzato. La mente prende il contenuto delle proprie percezioni, di quello che ha visto e pensato sulla realtà e lo considera sufficiente per crederlo vero, da non poter che essere così. E quando si crede di possedere una verità – sui propri figli, su cosa sia giusto o sbagliato, su quale sia il modo migliore per curare un malanno – è facile che si muti in una certezza, ovvero in una convinzione da difendere, proteggere, rendere inviolabile.

Ma dove vi è una certezza non vi è una verità, ma una versione della verità ridotta e addomesticata al bisogno di possedere certezze. Persino le certezze su se stessi, accompagnate dalla convinzione che siano una verità, sovente sono sottoposte a inconsce carenze, cecità o parzialità. Si crede nelle proprie verità-certezze, anche se magre di fatti, magari basate solo su ciò che personalmente si è sperimentato, come se ciò che sperimentiamo siano fatti universali e riproducibili da tutti. 

E’ facile arrivare a una certezza, passando attraverso una verità subalterna, perché è una conclusione del pensiero, un punto di termine della sua ricerca, dei suoi dubbi. Tutt’altra cosa la verità. Alla certezza occorre la verità, mentre è un danno per la verità la certezza. Vi è verità se nulla, proprio nulla contrasta ciò che afferma. Per arrivare perciò a possedere una verità occorre passare attraverso il dubbio. Attraverso l’incessante e intellettualmente onesto sforzo di interrogarsi sulla proprie conclusioni, per assicurarsi che nulla possa essere differente da quanto si afferma.

Perciò se si volesse arrivare alla verità, senza metterla al servizio della certezza, si dovrebbe accettare l’evidenza che si può mai essere certi di essere arrivati a tale approdo. Poiché non ci è possibile giungere, solo attraverso i fatti che raccogliamo, a un contenuto della realtà di cui possiamo possedere proprio tutte le conoscenze possibili e quindi non possa in nessun modo essere diverso. Su tutto interferisce il fatto che la nostra relazione con la realtà avviene sempre e inevitabilmente attraverso i nostri mezzi neurocerebrali. Siamo sempre e in ogni momento il nostro organismo, il suo modo di percepire, di sentire, di ricordare, in breve, di alterare la realtà che incorpora.

Solitamente si rappresenta la verità come ciò che sta sotto la superficie, in realtà più si scava, più si dubita di ciò che si afferma più si accerta che la verità è un percorso, un cammino, una ricerca interminabile, mai un approdo a una certezza. Mentre la certezza rassicura di essere arrivati da qualche parte e offre il beneficio di non dover più dubitare.

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